Da un paio di giorni fervono i preparativi in vista dell’imminente inizio della vendemmia, i nuovi locali sottostanti la Cantina Tramin, completamente rinnovata ed inaugurata nel giugno scorso, per la prima volta accoglieranno il frutto della spremitura delle uve conferite dai 270 soci: si comincerà dal pinot grigio e dal pinot bianco, seguirà il delicato pinot nero, dopodiché si monitoreranno quotidianamente, almeno fino a metà ottobre, le condizioni atmosferiche per decidere anticipi o posticipi di raccolta. A pochi chilometri di distanza, con maggior frenesia si stanno ultimando i preparativi per le 25^ Giornate del Vino di Caldaro, tradizionale manifestazione che a settembre segna l’epilogo della ricca serie di iniziative promosse ogni anno dalla Strada del Vino dell’Alto Adige, con una ventina di produttori che per un paio di serate offriranno in degustazione il risultato del loro lavoro in vigneto e in cantina ai loro compaesani ed ai turisti provenienti da varie parti d’Europa. In questo laborioso scenario si è svolto il nostro incontro con Willy Sturz, quasi due metri di miscela di simpatia, competenza enologica e amore per il proprio lavoro, modestia, disponibilità e cortesia, da quindici anni a capo del settore produttivo della Cantina Tramin (“dalla vite alla bottiglia” afferma in modo scherzoso), qualità che gli sono state riconosciute nel 2004 dal Gambero Rosso conferendogli il titolo di Miglior Enologo d’Italia.In diverse occasioni, parlando con altri enologi o con vignaioli altoatesini, mi confidavano che Willy durante tutto l’anno tiene d’occhio i vigneti dei conferitori della cantina (“e quelli vicini” sussurravano con una punta d’ironia e di ammirazione per tanta dedizione al suo lavoro), informazioni raccolte durante lunghe escursioni tra i filari, quotidiane visite al suo amato territorio, favorito anche dalla sua grande passione per la montagna, per le scalate e per le gite di sci alpinismo, che da sempre gli regalano momenti di distensione e meditazione (“a volte fuggo anche solo per poche ore, traendo benefici notevoli, che mi permettono di ripartire di slancio, di ricaricare di energia animo e mente”).
Lavorare dove si è nati, dove si vive la realtà di ogni giorno vicino agli affetti famigliari, dove si conoscono caratteristiche e particolarità del territorio e delle persone in cui operano, secondo Sturz è una grande fortuna. Anche per questo suo attaccamento all’Alto Adige, completati gli studi di perito agrario presso l’istituto di Ora ed essersi specializzato a Veitshocheim, nella regione tedesca della Franconia, il mestiere di enologo iniziò alla sezione Viticoltura ed Enologia del Centro per la Sperimentazione Agraria e Forestale di Laimburg, a pochi chilometri dalla sua cara Tramin, dove approdò nel settembre del 1991, lavorando a fianco dell’allora enologo Erich Waufmann fino al 1995.
“In verità feci la mia prima vendemmia al Castello Rametz a Salorno e Merano.” – puntualizza Sturz – “A Veitshocheim si registrò invece la vera svolta della mia vita: se non fossi riuscito a frequentare quel corso di specializzazione enologica, mi sarei sicuramente iscritto alla facoltà di Architettura, altra grande passione della mia vita. Infatti per me è stata una bellissima esperienza aver potuto lavorare nei mesi scorsi a fianco dell’architetto bolzanino Werner Tscholl nel disegno e costruzione di questa nuova cantina”.Che cosa ti piace di più e cosa di meno del tuo lavoro? “Un aspetto del mio lavoro che mi affascina è che, operando con una materia prima viva, che cambia di giorno in giorno, di anno in anno, non si può mai dar nulla per scontato, non c’è niente di sicuro. Osservare il frutto di mesi di lavoro, di attenzioni, di fatica nel bicchiere è sempre una forte emozione, che provo ogni volta che assaggio il vino fresco d’annata così come le riserve o le bottiglie che hanno riposato in cantina molti anni. Un lato negativo del nostro mestiere invece è il costante aumento di documenti, registri, richieste da compilare, che ci porta via molto tempo che potremmo al contrario dedicare ad altre attività e alla famiglia; sono convinto che occorra razionalizzare un bel po’ questa burocrazia dilagante”.
Qual è il vino che ti ha regalato più soddisfazioni? “Senza dubbio il Gewurztraminer Terminum vendemmia tardiva, un vino che cercai di realizzare sulla base di quanto avevo visto e assaggiato in Germania. Le prime prove di raccolta e appassimento dei grappoli in cassetta iniziarono nel 1994. Capii subito però che il vero obbiettivo doveva essere lasciare i grappoli a maturare sulla pianta e soprattutto a ricoprirsi di botrite, la famosa “muffa nobile”. Le prove di raccolta tardiva del 1996 al Maso Freisenger a 330 metri di altitudine non mi soddisfecero; meglio andò l’anno successivo nel vigneto vicino al Castello di Rechtental, tra i 400 e 500 metri di altezza, quando producemmo le prime 3.000 bottiglie, un buon vino anche se privo della componente “botritica”.Il migliore Terminum fatto finora nacque però nel 1998. Ricordo ancora lo sguardo pieno di scetticismo del socio proprietario di un vigneto di circa 4.000 metri, che quell’anno, d’accordo con il figlio, vendemmiammo l’11 novembre: addirittura a fine ottobre ci disse che non sarebbe più andato in vigna perché il suo cuore non avrebbe resistito a vedere le uve in quelle condizioni. L’uva era quasi completamente ricoperta di “muffa nobile”, incredibilmente sana; dopo la spremitura le analisi segnavano 43 gradi Babo con un’ottima acidità, attorno al 10 per mille. Fermentò in barrique a una temperatura di 25 gradi per circa 8 mesi. Il vino andò in bottiglia nel 2000, circa 3.000 bottiglie, aveva una gradazione di 10° e un residuo zuccherino di 250 grammi/litro, ma con una freschezza, complessità e concentrazione di aromi e frutta rimaste finora uniche. Oggi, grazie ai costanti buoni risultati e la grande richiesta del mercato, la parte del vigneto vicino al Castello di Rechtental, che viene raccolto in media a metà novembre, è di circa un ettaro e mezzo. Nonostante questo permane purtroppo la disapprovazione di un ristretto numero di soci, alla pari di alcuni che ancora non capiscono l’importanza del diradamento dei grappoli nel vigneto. Per fortuna il loro numero è in continuo calo, anche grazie alla politica dei compensi in base alla qualità e non alla quantità dell’uva conferita”.
Invece quello che ti crea più grattacapi? “In questo caso più che di un vino bisogna parlare di un vitigno: il pinot nero. Ogni anno investiamo parecchio tempo e lavoro per cercare di ottenere un gran vino, ma finora a mio avviso i risultati non hanno ripagato i nostri sforzi. Come molti sanno, il problema per il pinot nero sta nella difficoltà di riuscire ad avere un’uva con una maturazione fenolica ottimale, condizione indispensabile per ottenere un vino fresco, complesso e longevo. Nutro però buone speranze nel nuovo vigneto che è stato impiantato a 700 metri di altitudine nella zona di Montagna, che dovrebbe avere le condizioni climatiche, espositive e di terreno ideali, abbinato a nuove tecniche di coltivazione che stiamo sperimentando da un paio d’anni”. Come fa un enologo a mantenersi aggiornato sui metodi e prodotti da utilizzare nel vigneto e in cantina? “Ritengo sia di vitale importanza il continuo confronto tra “colleghi” e viaggiare molto, visitare le varie zone vitivinicole d’Italia e del mondo. Qui in Alto Adige c’è una buona collaborazione tra enologi, almeno 6 volte all’anno ci incontriamo per degustare i nostri vini alla cieca, oltre ad organizzare delle giornate di formazione e aggiornamento, potendo sfruttare anche l’ottimo lavoro svolto sia dal Centro Sperimentale di Laimburg sia dal’Istituto Agrario di San Michele all’Adige. Sfruttando i mesi più “tranquilli”, siamo riusciti a visitare le famose zone vitate francesi e buona parte di quelle italiane, oltre ad alcune in Australia e Nuova Zelanda, stringendo ogni volta nuove amicizie e contatti che ci permettono un continuo scambio di informazioni.
Qual è il miglior complimento che possono fare a un “tuo” vino? “Senza dubbio che rispecchi il territorio da cui nasce, la tipicità unita alla purezza e genuinità”. Qual è il vino più richiesto alla Cantina Tramin? “Il gewurztraminer è il più richiesto dal mercato italiano, che assorbe quasi tutta la nostra produzione. I tedeschi invece preferiscono il Lago di Caldaro e la Schiava, anche perché trovano ottimo l’abbinamento con la cucina locale. Una netta differenza esiste anche a livello di “tipo di cliente” che si presenta in cantina: gli italiani sono molto appassionati di vino, sempre più preparati grazie ai corsi AIS, Onav, agli articoli letti sulle riviste e sui siti internet, alle guide, e quasi sempre sanno già quale vino comprare; gli stranieri in genere sono più interessati al territorio nel suo complesso, alle visite alla cantina e alle escursioni nei vigneti, abbinando le degustazioni dei vini ai piatti del territorio”. Quali sono i motivi del successo dei vini dell’Alto Adige sul mercato? “Un insieme di motivi hanno permesso ai nostri vini di accelerare in un certo senso le tappe e di diffondersi sul mercato italiano, che in media assorbe oltre i due terzi della produzione. Innanzitutto puntare sulla qualità e non eccedere nella produzione fin dall’inizio, agevolati anche da un territorio di dimensioni limitate che ha impedito di impiantare grandi estensioni di vigneti: qui la realtà è molto particellarizzata, in media si è proprietari di meno di un ettaro. La realtà di riferimento sono stati i bianchi del Friuli e una delle carte vincenti credo sia stato poter contare sul Gewurztraminer, un vino che è diventato in breve tempo quasi una moda, e su ottimi Sauvignon, proposti inizialmente a prezzi inferiori rispetto ai “rivali” friulani”.
Quali sono i vini che preferisci? “In Italia mi piacciono molto i vini piemontesi, in particolare il Barolo; mi affascinano le sue incredibili potenzialità di invecchiamento, alla pari con i migliori “châteaux” francesi: ricordo di aver bevuto dei vini di oltre vent’anni ancora perfettamente integri, dotati di grande freschezza unita a particolari sentori speziati e grande complessità, così come ricordo con molto piacere ed emozione un Château Margaux del 1969 e un Château Haut-Brion del 1989. In campo internazionale invece ho assaggiato ottimi Pinot Nero della Nuova Zelanda, interessanti Shiraz e Cabernet australiani e alcuni buoni vini californiani”.Qual è la tua posizione riguardo i “vini naturali”? “Sono convinto che sia indispensabile aumentare l’attenzione verso le coltivazioni biologiche e biodinamiche, sono di fondamentale importanza per la salvaguardia del territorio, per la salute del consumatore, per aumentare nei vini la tipicità, il carattere, la ricchezza. Negli ultimi anni si sono fatti molti passi avanti in questo campo, è aumentata l’esperienza e la possibilità di confronto tra viticoltori che hanno abbracciato questo stile di vita, così come si è fatta un po’ di “pulizia”. Anche noi, oltre a sensibilizzare tutti i soci ad effettuare solo i trattamenti strettamente necessari nel vigneto, abbiamo avviato un gruppo per la coltivazione secondo metodi biologici e biodinamici. Sono circa 13 gli ettari che vengono trattati con metodi naturali; l’uva è stata fin dall’inizio vinificata a parte, anche per capire quali sono le zone o microzone collinari più idonee. Sicuramente occorre molta professionalità ed attenzione da parte dei soci, aumentano i costi di produzione, le ore passate nel vigneto, i rischi poiché è vietato sbagliare se si vuole ottenere un’uva più sana possibile. I risultati finora sono stati buoni, non abbiamo ancora intenzione però di creare una linea di vini “naturali”, e il vino prodotto va a confluire nelle selezioni, come il Gewurztraminer Nussbaumer o il Lagrein Urban”.Gli ultimi dati statistici mostrano un consumo di vino in calo. Quali sono secondo te le cause e quali i possibili rimedi? “Secondo me il consumo del vino nel mondo nei prossimi anni aumenterà, poiché vi sono ancora molti paesi che hanno scoperto o avuto accesso al vino da poco tempo. Temo anche che diverse zone vinicole scompariranno, in particolare nelle zone montane, poiché le rendite non sono sufficienti a coprire spese e lavoro, anche a causa della grande distribuzione e della sua pericolosa corsa dei prezzi al ribasso spesso a scapito della qualità. Per incrementare il consumo credo sia importante aumentare la sensibilità del consumatore verso cosa beve e mangia, allargare le sue conoscenze su dove e come vengono prodotte le materie prime. Le difficoltà maggiori penso sia sul cibo, poiché pochi alimenti sono così controllati, verificati e certificati come il vino. Un aiuto a diffondere questa cultura deve venire dalla ristorazione, ad esempio con la somministrazione del vino a bicchiere per permettere di degustare vini “sconosciuti” e di diversificare gli abbinamenti con il cibo nell’ambito dello stesso pranzo o cena, così come dare la possibilità al cliente di portare a casa la bottiglia che non si è bevuta tutta”.
Esordi giornalistici nel lontano 1984 nel mondo sportivo sul giornale locale Corriere di Chieri. La passione per l’enogastronomia prende forma agli inizi degli anni ’90 seguendo la filosofia e le attività di SlowFood. Ha frequentato corsi di degustazione e partecipa a numerosi eventi legati al mondo del vino. Le sue esperienze enoiche sono legate principalmente a Piemonte, Valle d'Aosta, Alto Adige e Friuli. Scrive e collabora a numerose riviste online del settore; è docente di corsi di degustazione vino ed organizzatore di eventi.
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Sommelier e master sul servizio vino e relazione col commensale, ha tenuto alcuni corsi in area territoriale del Pavese di approccio/divulgazion (...)
È Sommelier e Degustatrice ufficiale A.I.S. rispettivamente dal 2003 e dal 2004; ha sviluppato nel suo lavoro di dottorato in Industrial Design, (...)
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Ha iniziato la sua attività in campo enogastronomico nel 1987. Ha collaborato con le più importanti guide e riviste del settore italiane ed este (...)
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