Sembra arrivato anche nel Lazio un nuovo modo di pensare alla viticoltura e all'enologia, almeno a livello di studio
e ricerca infatti ci si sta accorgendo che la risposta alle nuove sfide del mercato non è nella massa ma nell'originalità.
Quale migliore espressione di unicità se non i vitigni autoctoni? Proprio per questo la
Regione Lazio per il rilancio del
proprio settore vitinicolo ha puntato su un programma ventennale di ricerca, finanziato con quasi 600mila euro e nel quale
sono coninvolte realtà del mondo universitario e del mondo vivaistico e produttivo, per il completamento della selezione dei
vitigni autoctoni, la loro classificazione e soprattutto la produzione in quantità di materiale di base certificato. In effetti
nel Lazio la situazione è talmente arretrata sotto questo punto di vista che molti vitigni sono conosciuti con nominativi diversi
in base alla zona di provenienza pure essendo identici, alcuni non sono mai stati classificati con certezza scientifica e altri
ancora stanno scomparendo perché poco produttivi sul piano quantitativo. Per recuperare il tempo perso dietro a tendoni e masse
di uva bianca di bassissima qualità la Regione ha messo in cantiere il PRAL 2003 - 2022 definito come "Azioni di ricerca finalizzate
alla definizione di linee guida, criteri e metodologie capaci di favorire lo sviluppo del comparto vivaistico-viticolo laziale, per
l'ottenimento di materiale di base certificato a sostegno del comparto vitienologico laziale di qualità".
Della situazione, a tre anni dall'avvio del progetto, e degli sviluppi del futuro prossimo e lontano si è parlato
sabato 18 novembre
in un convegno organizzato a Velletri, nella storica Cantina Sperimentale sita nell'omonima via. La sede non è però stata scelta a
caso, proprio la cittadina sita 40 chilometri a sud di Roma è infatti il fulcro del progetto, essendo soggetto proponente e
attuatore dell'iniziativa il Consorzio Universitario di Velletri, che è anche responsabile del coordinamento regionale delle varie
Unità Operative. In particolare sono state attivate due U.O. presso l'Istituto Sperimentale per l'Enologia S.O.P. di Velletri, e una
ciascuno per l'Is. Sp. per la Viticoltura di Conegliano Veneto, l'Is. Sp. per la Patologia Vegetale di Roma, l'Is. Sp. per la
Frutticoltura di Roma, il Dipartimento Produzione Vegetale - Università degli Studi della Tuscia, Arsial, Vivaio Enotria (Treviso) e
Associazione Moltiplicatori Viticoli del Lazio "Assovitis".
I
dati più importanti, oltre a relazioni più specifiche e settoriali che pur fondamentali non possono certo dare il quadro completo
della situazione, sono emersi chiaramente dalla relazione del responsabile scientifico del progetto
Gaetano Ciolfi in forza all'Istituto
Sperimentale di Velletri. Nell'analisi del sistema vitivinicolo laziale, una vera e propria fotografia del
"vigneto Lazio" nel senso
più generale del termine realizzata dal dott. Ciolfi insieme a Gianfranco Tempesta,
Monica Fiorilo, Michele Agresta e Giorgio Casadei,
si è evidenziata la tendenza a perdere la valenza storica delle proprie Denominazioni di Origine per le province di Rieti, Frosinone
e Viterbo. Allo stesso tempo il vigneto è in netto calo nelle preferenze degli imprenditori agricoli di tutta la regione a causa di
diversi errori nell'ambito produttivo, la ricerca a tale proposito cita infatti dati chiari sulle strutture di imbottigliamento,
fragili e poco dinamiche, di ricerca e, soprattutto, dell'incapacità di "fare sistema" sia da parte dei consorzi di produttori che
di quelli di tutela. Un quadro piuttosto sconfortante che purtroppo non necessita, per cambiare davvero rotta, esclusivamente
delle pur necessarie ricerche scientifiche ampelografiche ma soprattutto deve in qualche modo convincere i produttori, da quelli
piccoli a quelli più grandi, a ricercare l'originalità e l'unicità delle loro uve attraverso il reimpianto dei vitigni autoctoni.
Da più parti infatti è stato chiarito che per un territorio così poco fruttuoso dal punto di vista quantitativo, ma così ricco dal
punto di vista territoriale, l'unica soluzione è la diffusione della diversità dei prodotti. Gli studi sono partiti è vero, e sembrano
già a buon punto nella classificazione, rimane però lo scoglio di generare una nuova cultura vitivinicola negli imprenditori che
negli anni hanno subito forti perdite nella redditività delle loro vigne, altro dato evidenziato sabato 18 novembre a Velletri, non
riuscendo tuttavia a immaginare un cambiamento serio e gettandosi invece nella falsa aspettativa di benessere generata dalle maggiori
quantità.
Un modo di "fare sistema" del tutto sbagliato che è stato al centro di uno degli interventi più importanti della giornata di
studio
Veliterna. Tra studiosi di diversa estrazione ha preso la parola infatti anche il presidente della Coldiretti Lazio
Massimo Gargano,
intervento tra l'altro non previsto dal programma ufficiale, che però ha dato una vera scossa ai presenti. "Non possiamo continuare
a morire nei convegni - ha detto Gargano - e poi ritrovarci a dire "io l'avevo detto". Le istituzioni devono fare scelte economiche
precise, il modello industriale ad esempio non è più sostenibile nei Castelli Romani, bisogna quindi cambiare modello di sviluppo e
puntare sull'autoctono defilandoci dalla competizione sui costi, puntando sulla qualità e sulla non clonabilità". Il presidente della
Coldiretti Lazio ha poi messo il dito in un'altra delle piaghe castellane: "Qui ai Castelli ci sono sette cantine sociali in 30
chilometri e vendono tutte lo stesso prodotto più o meno, è normale che tra loro la concorrenza diventi una cannibalizzazione sui
prezzi". Un sistema che non funziona dunque, che non ricerca le vere eccellenze del territorio così come ha confermato da parte sua
la senatrice Loredana De Petris della Commissione Permanente Agricoltura e Ambiente. Per la senatrice il legame vino-territorio "non
è poesia, si tratta invece dell'unica salvezza per i nostri vini. Il territorio e il paesaggio sono il nostro valore aggiunto ma l'unica
soluzione è la qualità".
Una situazione allarmante
per il Vigneto Lazio, che prima di vedere i frutti della ricerca
scientifica regionale dovrà puntare ad un nuovo sistema di produzione
nel quale i vitigni autoctoni trovino terreno fertile nel quale
attecchire e non mentalità poco lungimiranti arroccate sulla paura di
investire per il futuro. |