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Le prime cinquanta pagine del libro appassionano, hanno il merito di lasciar
incollati alla lettura chi ama il vino profondamente e chi lo sta cominciando
ad incrociare nel suo percorso, chi è stato nelle Langhe o chi ci
vorrebbe andare: citazioni di paesi, vigne storiche e produttori sono perfettamente
integrati all'interno della narrazione che scorre apparentemente senza particolari
sussulti, ma che delinea con lentezza e delicatezza la storia ed il contesto e,
soprattutto, è ricca di spunti di riflessione.
Un sommelier francese, Daniel,
per lavoro, soggiorna per alcuni giorni ad Alba e tra una lezione e
l'altra del suo corso di degustazione presso una locale enoteca,
visita luoghi, attraversa paesaggi, ma soprattutto incontra "ritratti umani",
che illustrano pienamente quella grande terra che è la Langa, con il
merito di trasmettere al lettore quel carattere quasi scontroso, introverso, timido, ma
schietto, delle genti di queste terre, che scaturisce dall'incontro di uomini e donne che avranno ruoli
ben delineati all'interno della narrazione e che saranno più che
significativi, quasi sconvolgenti, nella vita del nostro protagonista.
Un sommelier verrebbe da dire "atipico" rispetto a quello che, purtroppo,
siamo soliti a volte osservare oggi, sommesso, che non vanta certezze scolpite e
che osservando, durante un veloce e frugale pasto, alcuni commensali roteare con
movimenti circolari i bicchieri per cogliere necessariamente e ad ogni sorso chissà
quali sfumature, si rende conto di cosa sia la pura ostentazione e di come, soprattutto,
in parte, quelli come lui siano stati i principali responsabili di questo decadimento.
Francese, dicevamo, il protagonista, ma con una approfondita conoscenza dei
vini piemontesi in generale, ma soprattutto langaroli, ed un'amore per queste
terre quasi commovente, ingenuo a tratti, che viene costantemente riportato "per terra",
smitizzato e quasi sbeffeggiato dal primo dei significativi compagni di viaggio
e di soggiorno che irrompe nella narrazione, Luciano, il taxista che beve solo birra,
che lo scorrazzerà tra colline e stradine e che ha il ruolo di smitizzare,
quasi distruggere a tratti, quell'alone di imponente imperialità che
attraversa ognuno di noi quando pensa a queste meravigliose terre ed ai suoi
vini, una sorta di coscienza critica che non ha paura di
bacchettare vignaioli, politici, critici e chiunque abbia avuto il merito
di rilanciare e portare definitivamente nell'olimpo dei grandi vini la Langa,
ma al contempo, di averne anche stravolto l'originarietà e la sincerità
e di aver creato nel tempo anche avidi speculatori, più che sanguigni
e semplici vignaioli.
Non si parla di modernisti contro tradizionalisti,
come spesso è capitato, ma ancora capita, di leggere quando
si descrivono uomini e terre di Barolo e Barbaresco, ma di
boschi scomparsi a scapito di vigneti, anche là dove le vigne non
c'erano o non dovevano esserci, di crus dal valore economico oggi
stellare, quando invece, fino a non molti anni fa, venivano svenduti per
racimolare un gruzzoletto di denaro per trasferirsi a Torino e lavorare in FIAT.
"Un paesaggio monotono: colline e colline di vigna tutte uguali. Non c'è più
un albero da frutto...tagliati tutti i frutteti per far posto alla vigna...vede un orto?
Via anche quelli, tanto c'è la Coop ed un presidio di Petrini, sperso chissà
dove...abbiamo una bella fantasia o no?". Fantasia ed inventiva, doti
anche per Daniel
importanti nel suo lavoro, lui che praticamente se lo è
inventato, ad un certo punto della sua vita, decidendo, per mestiere,
quello di scegliere i vini per le cantine dei ristoranti che
volevano ampliare la loro scelta, ma che nella bocca di Luciano diventano
taglienti e dure da digerire per chi probabilmente non conosce a fondo questi
posti: "Per inventivi siamo inventivi. Qui in Langa è tutta un'invenzione...ci siamo inventati un paradiso di vigna per amanti del vino...colline da
far invidia alla Toscana. Tutte balle.
Qui non sai cosa fare se non mangiare ed ubriacarti, se te lo puoi permettere".
Poi, il brusco cambiamento nel mezzo della narrazione ed un finale,
molto cinematografico e quasi americanizzante, che lascia un lieve, ma deciso,
retrogusto amarognolo: le vicende personali, familiari ed amorose,
del protagonista assorbono
ad un certo punto completamente la narrazione, con intermezzi non semplici
da decifrare ed integrare, ma soprattutto un finale da film western, da duello
finale all'ultimo sorso e riconoscimento, avulso dal resto della trama e
quasi forzato, come a voler ritornare sul "pezzo", sul vino, ma in modo esterno
e non magistralmente integrato come nella parte iniziale del racconto.
All'interno del variegato mondo dell'informazione enogastronomica, scritta e virtuale,
pochi hanno parlato di questo libro, forse appunto perchè libro e non magari pellicola:
stride il confronto con Sideways, film americano che non moltissimi mesi fa ha
fatto molto, anche troppo,
parlare di sé, scomodando illustri produttori nostrani
di vino che si lamentavano del fatto che in Italia nessuno avesse pensato
di dedicare un'opera cinematografica ad uno dei prodotti più rappresentativi del nostro paese.
E' un libro che mi sento di consigliare, perché scritto bene, senza
eccessi linguistici, con sobrietà e bell'italiano, con interessanti
spunti geopolitici sul mondo del vino di Langa che possono tranquillamente
essere riportati in altre terre dove sostanzialmente sono accadute, e continuano
anche adesso ad accadere, cose simili a quelle langarole e che lasciano nel lettore un
sentimento a metà strada tra la nostalgia e l'amarezza e che fanno,
senza eccessi polemici, riflettere.
La parte finale, degna di un film hollywoodiano, nel quale il protagonista,
solo contro tutti, ma con pochi e fidati compagni a tifare per lui,
compie l'impossibile in una sfida all'ultimo sorso nel tentativo di
riconoscere profumi, sapori ed infine vini con nome, cognome ed
anno di nascita, fa sorridere ed anche un po' innervosire da una parte,
dall'altra suggella l'impressione che, pian piano, emerge
leggendo il libro e che magari renderà, finalmente, felice qualcuno: se da questo romanzo se ne ricavasse la
sceneggiatura per una pellicola nostrana sul mondo del vino, tanto
invocata ultimamente da alcuni dopo l'uscita del film americano sopra
citato, non se ne rimarrebbe più di tanto stupiti.
Chiudiamo con una delle tante stilettate che escono dalla tagliente
verve polemica di Luciano, probabilmente,
vero alter-ego dell'autore stesso:
"...io di tutta sta retorica del vino non ne posso più.
Abbiamo oramai solo quello e ci costruiamo, castelli di balle.
E non c'è più posto per niente, per un ricordo,
sembriamo nati tutti signori da quando questa non è più terra di malora".
Nico Orengo
Di viole e liquirizia
Einaudi
Pag. 155
15.50 euro
Alessandro Franceschini
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